Intervista a Joachim Sartorius

Joachim Sartorius è nato il 1946 a Fürth nel nord della Baviera ed è un noto ed apprezzato intellettuale, diplomatico, giurista, traduttore e poeta. Dal 2001 ricopre la carica di direttore dei “Berliner Festspiele”, che dal 1951 organizzano eventi culturali famosi a livello internazionale. Come figlio di diplomatico è cresciuto e si è formato culturalmente in diverse città e stati. Ha frequentato le scuole in Tunisia, in Congo e in Camerun ed ha studiato nelle università di Monaco, Londra, Strasburgo e Parigi. Dal 1974 al 1986 ha vissuto, tra l’altro, a New York e ad Ankara con compiti diplomatici.

Tra il 1986 al 1994 è stato direttore del programma artistico del DAAD a Berlino, il Servizio Tedesco per lo Scambio Accademico, “che rappresenta le università tedesche all’estero e promuove la mobilità di studenti, dottorandi, ricercatori e professori attraverso svariati programmi di borsa di studio; la più grande organizzazione a livello mondiale per il sostegno e la promozione degli scambi accademici”. Nel 1996 è stato nominato Segretario Generale del Goethe-Institut a Monaco. Ha inoltre ricevuto numerosi riconoscimenti come il “Paul-Scheerbart- Preis” nel 1999.

Joachim Sartorius nel suo ufficio dei Berliner Festspiele a Berlino - © Emilio Esbardo

È sposato con l’agente letterario e traduttrice Karin Graf. Al suo attivo ci sono numerose pubblicazioni come “Staat und Kirchen im frankophonen Schwarzafrika und auf Madagaskar”, “Sage ich zu wem”, “In den ägyptischen Filmen”, “Die Welt über dem Wasserspiegel”, “Die Prinzeninseln”. La nomina di Sartorius nel 2001 a direttore è coincisa con l’insediamento in una dimora fissa dei “Berliner Festspiele”, che in precedenza hanno organizzato le loro manifestazioni in sedi esterne. Il domicilio è quello dell’edificio, fatto restaurare, in stile anni ’60 che apparteneva al teatro “Freie Volksbühne”.

Attualmente ai Berliner Festspiele appartengono, tra l’altro: “MaerzMusic”, ossia il festival annuale a Marzo della musica attuale; “Theatertreffen” ossia l’incontro teatrale annuale con le dieci più notevoli produzioni teatrali tedesche della stagione in corso; “Internationales Literaturfestival Berlin”, il festival di letteratura annuale autunnale, i cui punti focali sono lo sviluppo della letteratura contemporanea internazionale; “JazzFest Berlin”, uno dei più famosi festival jazz al mondo, che si tiene annualmente a inizio settembre; “spielzeit’europa”, una prestigiosa stagione annuale di teatro e danza, da novembre a gennaio, dove vengono inscenati importanti produzioni in ambito europeo.

I “Berliner Festspiele” hanno ricoperto una particolare importanza sotto la guida di Sartorius perché, come ha scritto il Ministro Bernd Neumann: “Quando Joachim Sartorius si è insediato come direttore sono stati percepiti seriamente i violenti cambiamenti iniziati con la caduta del Muro. Le conseguenze economiche e politiche della riunificazione, il dinamismo della società, la globalizzazione, i grandi progetti dell’edilizia e delle infrastrutture, infine la digitalizzazione e il processo di unificazione europeo…”.

L'edificio dei Berliner Festspiele - © Burkhard Peter

La convinta e forte promozione di una cultura di alta qualità e adattata ai nuovi tempi in questi dieci anni da Joachim Sartorius e dai “Berliner Festspiele”, ha avuto, secondo il mio parere, anche lo scopo di rispecchiare e far comprendere la società stessa in cui viviamo e i suoi cambiamenti, che tutt’ora continuano incessantemente.

Joachim Sartorius ha deciso di dare le sue dimissioni per fine anno. Lo abbiamo incontrato per un’interessante intervista che pubblichiamo qui di seguito.

 

Signor Sartorius, perché la decisione di smettere con i “Berliner Festspiele”?


Ho deciso di lasciare alla fine dell’anno ed è stata una mia propria scelta egoistica. Ho lavorato forse per 40 anni con artisti ed è stata un’esperienza meravigliosa. Ma sono sempre stato servizievole, ho strisciato continuamente nei cervelli degli altri. Adesso vorrei strisciare nel mio ed avere più tempo per scrivere roba mia.

Ai “Berliner Festspiele” appartengono molti eventi come “spielzeit’europa”, “Jazzfest” e “Internationales Literaturfestival Berlin”. Quale le sta più a cuore? Ha dei ricordi particolari? Quale tra gli artisti l’ha colpita di più?

In questi dieci anni vi sono stati più di 2000 eventi e più di 6000 artisti. Tutti sono in un certo qual modo un po’ come figli miei. In questo momento è difficile decidere. Non è certamente la mia passione più grande, ma se penso ai grandi eventi, ho trovato fantastico un concerto di Stockhausen all’aeroporto di “Tempelhof”, che si è tenuto durante il “musikfest”. L’altra grande manifestazione è stata, quando abbiamo portato a Berlino le marionette giganti. È stato un evento riuscito, seguito da quasi 2 milioni di berlinesi. Continuo a ricevere lettere, in cui mi chiedono quando ritornano i giganti.

Nel suo libro L’isola dei Principi lei accentua sempre il viaggio, ad esempio: “Esiste un viaggio, che non nasconda un segreto, o un singolo viaggiatore, che non abbia mentito? Il viaggio è una struttura antropologica dell’immaginario (pagina 1 – citazione di Jean-Didier Urbain) …
… Sulla nave mi ha raccontato, che da bambino credeva, che il treno cambi il viaggiatore … (pagina 9)”
 In tutta la sua vita lei ha viaggiato costantemente. Che significato ha per lei il viaggio?


Credo che il cambiamento di luogo è importante perchè modifica il modo di osservare e di percepire la realtà che ci circonda e ci permette di osservarla in modo del tutto nuovo. Non sono interessato ai viaggi turistici. Dal mio punto di vista bisognerebbe rimanere a lungo in un luogo per cercare di comprendere ciò che si vede.

Dal suo libro L’isola dei Principi:
“… Io mi ricordo soprattutto di quest’odore e poi, più tardi, di nuovo nella valle, dei cipressi, dei pini, dei platani, delle loro lunghe ombre …” (pagina 9)
 Lei ha frequentato la scuola in Tunisia, nel Congo e nel Camerun ed è stato studente universitario a Monaco, Londra, Strasburgo e Parigi. Quali sono gli odori, i suoni, i colori che non dimenticherà mai e faranno sempre parte di lei?


Copertina del libro L’isola dei principi

Da una parte associo aromi ed odori intensi ai bazar nelle città orientali. A Gennaio sono stato ad Aleppo che ha presumibilmente il più grande Suq del mondo con una lunghezza di 13 km. È davvero emozionante quando si passeggia per le strade dove vi sono i commercianti di spezie o di pelle e si percepiscono una grande varietà di odori. Tutto ciò è legato, associato alle fragranze. Trovo che Venezia, a cui sono legato, invece, per la mia amicizia con Emilio Vedova, abbia un particolarissimo profumo, che proviene dalla laguna. I vaporetti hanno un loro proprio odore di motore e di combustione d’olio. Probabilmente solo le gondole sono inodori.

Lei è figlio di un diplomatico e lei stesso ha lavorato come diplomatico. Com’è in realtà la vita di un diplomatico? Ha mai desiderato un’ “infanzia normale”?

Quando ero bambino ho maledetto la vita da diplomatici dei miei genitori: era relativamente difficile perché ogni due anni cambiavo amici e scuola, dove spesso ero l’unico tedesco. Da bambini si è incredibilmente conservativi: si vuole appartenere ad un gruppo che parla la stessa lingua. Io vivevo in un particolare stato che non desideravo. In retrospettiva sono, però, grato perché ho imparato bene altre lingue, che portano il tuo cervello ad essere più cosmopolita. Si acquista più conoscenza e la conoscenza rende più tolleranti. C’è stato un periodo in cui il mio francese era migliore del mio tedesco.

Perchè l’ha colpita tanto la fotografa Nan Goldin? E cosa l’ha colpito tanto di lei?

Nan Goldin è stata un’ospite del programma artistico del DAAD ed ha vissuto per un anno a Berlino. Allora era già famosa grazie al suo lavoro la “Ballata della dipendenza sessuale”. L’avevo conosciuta quando abitavo a New York dove andavamo in giro insieme. Quando è venuta a Berlino ho trovato fantastico come si è concentrata nel suo lavoro: ha realizzato una grande opera sulla città, che è stata esibita nella “Berlinische Galerie”. Spesso sedevamo uno di fronte all’altro, nel suo appartamento nel quartiere di Kreuzberg a Hornstraße, a ideare molti progetti.

Dal suo libro L’isola dei Principi: “…Anche tutti i battelli, che in quel periodo operavano nell’isola, sono stati fotografati e stampati. Si percepisce l’orgoglio dei fotografi…” (Pag. 18) Secondo lei, si può attraverso le fotografie riconoscere il carattere stesso di un fotografo?


Non so se si possa rispondere affermativamente in senso generale. Ci sono molti fotografi che tentano di essere molto obiettivi. Penso, ad esempio, ai fotografi del “Bauhaus” con i quali è relativamente difficile trarre conclusioni sulla loro vita interiore. Ma si può, al contrario, conoscere moltissimo di Nan Goldin attraverso le sue fotografie.

Guardando una foto è possibile riconoscere se è stata scattata da un uomo o da una donna?

Dal momento che io ritengo che molti uomini hanno fino al 50% di geni femminili, trovo molto difficile rispondere a questa domanda.

Riguardo alla fotografia, esiste una linea di demarcazione tra l’arte erotica e la pornografia?

Questa domanda mi ricorda una conversazione che ho avuto l’anno scorso a Dubai. Parlavo con un paio di giovani poeti arabi, che affermavano che esiste una linea rossa. Io ho chiesto di cosa si trattasse esattamente e loro mi hanno risposto che bisogna essere contro la pornografia, non ci dovrebbero essere corpi nudi nella poesia. Non si può bestemmiare contro Dio. Tutto ciò era per loro tabu, sebbene fossero giovani ed avessero studiato a Londra e a Los Angeles. Ne sono rimasto molto affascinato perché credo che per noi europei occidentali sia divenuto difficilissimo riconoscere il confine con la pornografia: è certamente pornografia quando si va in un cinema a luci rosse per vedere un film dove si fa sesso in modo meccanico per quattro ore. Questo non ha niente a che fare con l’arte. Esiste una linea di demarcazione. Ma per definirla avrei bisogno di pensarci per ore.

Dal 1986 al 1994 è stato direttore del programma artistico del DAAD. Quali sono gli artisti stranieri, che lei ha portato in Germania, che ha trovato più interessanti?

Ci sono state naturalmente persone fantastiche da Susan Sontag a Carlos Fuentes o Ilya Kabakov. Ma io vorrei concentrarmi, ora, su artisti italiani che ho ancora impresso molto bene nella mia memoria. Uno di essi è Emilio Vedova, che ha realizzato il suo “Assurdo Diario Berlinese”. Eravamo legati da una stretta amicizia e sono, tutt’oggi, triste che sia morto. L’ho visitato spesso nel suo atelier a Dorsoduro. Era molto alto per un italiano, aveva una barba folta ed era sempre molto drammatico. Mi ha sempre ricordato un Dostoevskij italiano. Un altro artista, che vorrei citare, è Mimmo Rotella, che aveva il suo atelier a Lützowplatz e notte dopo notte andava in giro per il quartiere e strappava i manifesti dalle colonne per le affissioni con i quali creava dei collage. Spesso la polizia alle cinque di mattina gli chiedeva: “Scusi, ma che cavolo sta facendo?”. Nanni Balestrini, uno scrittore, è stato qui. Aveva appena pubblicato un suo libro presso “La Feltrinelli”. Il più importante di tutti è stato però Luigi Nono. Aveva un forte impulso politico. Nell’autunno del 1988, un anno prima della caduta del Muro, era stato invitato a tenere un concerto nel “Palazzo della Repubblica”. Siamo andati lì con la ferrovia urbana, passando per il controllo al “Palazzo delle Lacrime”. Quella sera c’erano 1500 giovani dell’esercito con la testa rasata, semplici cittadini e naturalmente l’elite della DDR. Nono che parlava molto bene il tedesco, prima di iniziare, doveva avvicinarsi al microfono e spiegare la sua opera, che sarebbe stata eseguita dall’orchestra Leipziger Gewandhausorchester. È andato al microfono e come ogni bravo artista ha detto: “Non do nessuna spiegazione della mia opera. L’ascolteranno immediatamente e poi ognuno potrà farsi la propria opinione personale. Io mi sono preso la briga, però, di tradurre i passi del discorso di Gorbaciov, censurati ed eliminati dal quotidiano Neues Deutschland, che vi leggerò adesso”. Quindi ha letto di fronte a 3000 persone passaggi sulla Glasnost e sulla Perestrojka, che erano stati censurati. Alla fine, dopo 12 minuti di lettura, vi era nella sala un silenzio assoluto esattamente come a mezzanotte nel Sahara algerino. La gente non sapeva come reagire. Non sapevano se urlare “bravo” o “buh”. È stato realmente fantastico. Dopo due minuti è iniziata la musica ed è stato un sollievo incredibile. Durante il viaggio di ritorno con la ferrovia urbana è stato fermato al Palazzo delle Lacrime ed ha dovuto nuovamente rispondere ad una ventina di domande. Questo era Gigi.

Mi può raccontare qualcosa anche sui due grandissimi scrittori Carlos Fuentes e Orhan Pamuk?


Carlos Fuentes è stato nostro ospite per mezz’anno. Sono andato a prenderlo all’aeroporto. È venuto in un volo separato dalla moglie Silvie, poiché hanno paura di incidenti aerei e per questo motivo prendono sempre voli separati. Lui da solo, la moglie da sola, il figlio da solo. Gli ho chiesto immediatamente quali fossero i suoi desideri e mi ha risposto che non voleva assolutamente incontrare giornalisti e desiderava scrivere giornalmente dalle 9 alle 13. “Sa, signor Sartorius”, mi ha confidato, “i miei romanzi hanno la struttura dei film muti espressionisti tedeschi e mi piacerebbe vederli di nuovo tutti”. Pamuk è un mio caro amico. Ci siamo incontrati un paio di volte ad Istanbul. L’ho proposto per il premio “Friedenspreis des deutschen Buchhandels”. Privatamente è in assoluto una delle persone più colte e divertenti, che abbia mai conosciuto.

Lei ha vissuto gli ultimi anni della Berlino divisa e l’atmosfera di ottimismo nella città riunificata degli anni ‘90? Com’è stato?

Sono realmente grato, che io abbia vissuto negli ultimi due anni della Berlino ovest e durante i folli anni dell’immediato dopo Muro e del superamento della divisione della città. È stato un problema generazionale. Per i vecchi scrittori della DDR che io conoscevo bene, come ad esempio Heiner Müller, è stato molto difficile passare bruscamente al sistema capitalistico. Ma gli scrittori e gli intellettuali più giovani non hanno avuto grossi problemi nel cambio. In retrospettiva per me è stato un periodo di ottimismo ed euforia, nonostante tutte le difficoltà. È stato molto emozionante soprattutto tra il 1990-1995.

Lei ha lavorato a New York. Spesso si sottolineano le strette affinità tra Berlino e New York. Qual è il suo parere?


Ho trovato sempre interessante che gli artisti americani, che venivano in Germania con la borsa di studio DAAD, paragonassero Berlino ovest a New York. Cosa che io non ho mai completamente capito. Forse non aveva molto a che fare con l’aspetto architettonico bensì con lo stesso tipo di società aperta e con gli stessi ampi spazi a disposizione per gli artisti, che Berlino condivideva con New York. Io sono stato a New York tra il 1974 e il 1978. A quel tempo c’era ancora un’incredibile diffidenza nei confronti della Germania, a causa del suo recente passato, che io comprendevo. Era difficilissimo esporre arte contemporanea tedesca nei musei. Fassbinder era spesso nel mio ufficio, piagnucolante, che mi raccontava come ancora una volta non era stato riconosciuto nella 5° Avenue.

Cosa l’ha portata alla poesia?

La poesia coincide con le prime esperienze letterarie di ognuno di noi e avviene sotto l’influenza di uno o due insegnanti a scuola, che giocano un ruolo importante. Per me è stato strano. Io ho frequentato soprattutto scuole francesi ed ho letto Rainer Maria Rilke per la prima volta in questa lingua e non in tedesco. Uno dei miei professori mi ha fatto capire l’importanza della poesia. A partire da 15 anni ho iniziato io stesso a scrivere regolarmente: credo che fosse spazzatura. A New York ho cominciato a tradurre poeti americani e parallelamente ho iniziato ad accettare anche le mie poesie.

Perchè secondo lei bisognerebbe leggere poesie?


Per me la poesia è molto importante. Oggi è un genere di letteratura fortemente emarginato. In molti Paesi, dove prima aveva un ruolo importante ha perso d’importanza a causa d’internet. Però io credo che non faccia differenza se si hanno 1.000 o 10.000 lettori se i 1.000 sono buoni lettori. Io stesso sono totalmente convinto della poesia, poiché penso che sia incredibilmente rilevante per il linguaggio, visto che non si tratta del linguaggio quotidiano. Essa ha un’importante rilevanza per il futuro del linguaggio stesso. Si legge a volte una poesia e si pensa: “la mia lingua madre ha atteso di trovare il suo pieno sviluppo in questa poesia”.

Si pensa, che lo/la scrittore/trice cerca consapevolmente, di fare determinate esperienze, per poterne poi scrivere un libro. Voglio dire, essi trasformano le loro esperienze, attraverso il freddo e calcolato processo della scrittura, in racconti. Cosa ne pensa? Lei è andato appositamente nell’Isola dei Principi, per scrivere un libro?

Assolutamente no. Io ho vissuto a lungo in Turchia. Per me Istanbul è una città molto importante anche perché vi sono strati di varie e differenti culture e civilizzazioni che non sono scomparsi. Ma non è difficile descrivere una grande città, riassumerla a parole ed ho pensato che sarebbe stato bello se vi fossi riuscito con questo microcosmo delle isole.

Signor Sartorius, questa non è una domanda, bensì un’affermazione:

Quando sarà infranto l’infinito servaggio della donna, quando ella vivrà per se stessa e grazie a se stessa, poiché l’uomo, – fino a oggi abominevole, – l’avrà congedata, la donna sarà poeta, anche lei! Troverà la sua parte d’ignoto! I suoi mondi d’idee saranno diversi dai nostri? – Ella troverà cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose; le prenderemo, le comprenderemo.

– Dalla lettera di Arthur Rimbaud a Paul Denemy; Charleville, 15. Maggio 1871 (traduzione di Diana Grange Fiori).
Ha qualcosa da dire al proposito?

La posizione delle donne nel 1871 è differente da quella del 2011. Oggi, grazie a Dio, ci sono compositrici, direttrici d’orchestra, una serie di registe e così via. Ma è interessante che particolarmente nella letteratura le scrittrici siano numerose come i loro colleghi maschi.

di Emilio Esbardo

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