Lettera al nipotino dei nonni emigranti

Foto: Steiner, Egon - immagine fornita dall’Archivio Federale Tedesco (Bundesarchiv)

di Lino De Palmas

Caro nipote,

i tuoi nonni non credono nel villaggio globale, perché sono orfani di quello vero. Paese o quartiere che sia. Ma sono venuti a viverci. Per aiutare te e aiutare la mamma che non è ancora pronta come mamma.

È la nuova legge del contrappasso. Appena puoi leggiti l’inferno e lascia perdere la Pimpa. Per niente facile questa tua epoca. Ma non lo era nemmeno quella dei tuoi nonni.

Malaria, guerra mondiale, emigrazione e fame, tantissima fame, diceva mio nonno, così tanta che per calmare il maiale affamato, suonavano la fisarmonica, e lui si addormentava beato, sognando tanta fame, ma così tanta che lo faceva risvegliare più aggressivo di prima.

Quando sarai grande potrai studiare questa nuova figura sociale, che è apparsa sotto il cielo di Berlino: Il nonno emigrante.


Se vuoi iniziare a raccogliere materiale per le tue ricerche, ti consiglio di prendere carrozzina, ciucciotto e pannolino, e andare a tutte le serate italofile, che animano la vita berlinese. Accasati dal punto di vista finanziario (hanno venduto uno in Italia e hanno comprato due a Berlino. Una casa per loro, una per la figlia), non lo sono dal punto di vista culturale.

Foto: Steiner, Egon - immagine fornita dall’Archivio Federale Tedesco (Bundesarchiv)

A differenza delle mogli dei diplomatici, scienziati, professori, giornalisti, manager, che hanno dovuto seguire i mariti, appassendo la loro floridezza, in giornate cariche di noia, frustrazioni e rimpianti, i nonni invece svolazzano in nuova primavera.

Corsi di tedesco, concerti, musei, vernissage, per non parlare di tutto quello che gira intorno al nipotino.

Perché la loro vera professione è quella del nonno baby-sitter.

Devi sapere che nell’età della pietra, quando i nonni, quelli senza denti e col bastone (ormai in via d’estinzione), costruivano la loro casa, pietra su pietra, i figli emigravano e mandavano i soldi ai genitori. Non è una favola. “È vero veramente”. Ma quelli avevano ancora l’animo del contadino.


Se i nonni, qualche volta, come trasognati, la raccontano a te che diventerai un cittadino, non prenderla come qualcosa di retorico o senile. Non ti chiedono di fare come loro, ma ti ricordano solo che loro lo facevano. Quando da grande lo rammenterai, sentirai che tutto tace, ormai.

Che tutto ciò che tu vedrai, camminando col passo riposato e ormai abituato alle terre pianeggianti di Germania, non può fare a meno di quest’anima atavica e scrutatrice, che ti avverte, come le vertebre del lampo notturno, che ciò che passeggia schiamazzante nelle serate berlinesi, non è felicità, ma ebbrezza e allegria, non è tristezza è semplicemente depressione (che viene pubblicizzata in tutte le metropolitane, per evitare che qualcuno, distratto, non se ne fosse accorto).

E che anche lo sfiorarsi, guardarsi, sedersi pacati, non sono tolleranza, sono solo la figlia e la mamma del menefreghismo. Il cordone ombelicale reciso di un orfano. Quello della società comunitaria.

Questo cosmopolitismo che sembra pieno di apertura e curiosità, spesso è nient’altro che superficialità, amicizia fatta di attimi, folla che si sbriciola in solitudine. Del resto un gruppo di persone sole non fanno una compagnia. Ma questa è la Berlino dove sei venuto a crescere. Ti scrivo questo, caro nipotino, affinché tu possa vedere le cose anche così, da un’altra angolatura.


Affinché tu possa capirle e prenderle con la giusta leggerezza. Con la stessa leggerezza con la quale hanno preso i nuovi nonni emigranti, la vita in questo villaggio globale berlinese. A differenza di quelli vecchi, che del mezzo rancore, ne hanno fatto un fine. 

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