JazzFest Berlin 2014: il festival compie 50 anni

Jason Moran Fats Waller Dance Party - Foto: Emilio Esbardo

Dio ha escogitato molti strumenti contro l’oppressione. Ha donato agli uomini la capacità di creare. Grazie a questa capacità, sono stati composti molti bei canti di gioia e di dolore che hanno permesso all’essere umano di affrontare il suo ambiente in differenti circostanze. Il jazz parla della vita. Il blues racconta le difficoltà quotidiane e, se si riflette per un momento, si comprende che, nella musica, vengono riversate le più dure condizioni di vita, soltanto per ottenere un nuovo sentimento di speranza o trionfo (…) Quando la vita stessa non offre ordine o significato, il musicista li crea attraverso i suoni della terra che penetrano dal suo strumento.

(Dalla prefazione di Martin Luther King al festival Berliner Jazztage del 1964)


Quest’anno il festival di jazz berlinese, uno dei più rinomati a livello internazionale, ha festeggiato i suoi primi cinquant’anni. In quattro giorni, dal 31 ottobre al 3 novembre 2014, sono stati venduti più di 7000 biglietti. Nei concerti, vi è sempre stato il quasi tutto esaurito. Inoltre durante la “lunga notta dei film” dedicati al jazz presso lo storico Delphi Filmpalast si sono registrate 1187 presenze.

I concerti si sono tenuti nella sede dei Berliner Festspiele, nell’Accademia delle Belle Arti, nel club A-Trane e nella chiesa Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche, dove si sono esibiti Archie Shepp e Jasper van’t Hof.

Archie Shepp - Foto: Emilio Esbardo

Darryl Hall - Foto: Emilio Esbardo

L’ultima edizione da direttore artistico di Bert Noglik, ha coinciso con i cinquanta anni  del festival. A tal proposito sono da ricordare altri predecessori di Noglik che hanno reso celebre la manifestazione: Albert Mangelsdorff, John Corbett, Nils Landgren, Peter Schulze.

All’inizio il festival aveva un nome differente: Berliner Jazztage. I suoi ideatori sono stati Joachim-Ernst Berendt, Ralf Schulte-Bahrenberg e George Wein. Si era nel pieno della Guerra Fredda e di conseguenza i Berliner Jazztage avevano una forte valenza politica. Uno degli obiettivi era far percepire la musica occidentale anche nella zona della Repubblica Democratica e in particolar modo a Berlino est. I programmi dedicati al festival venivano appositamente trasmessi dai canali televisivi statali ARD e ZDF, che, nonostante fossero vietati, venivano visti anche dai cittadini della DDR.

Il primo novembre si è esibito il gruppo di Daniel Humair, uno degli artisti ad aver partecipato nel 1964 alla prima edizione di JazzFest. Batterista, originario della Svizzera, trasferitosi nel 1958 a Parigi, ha dimostrato durante il concerto di essere ancora uno dei migliori musicisti jazz della scena europea, che, negli anni, ha assunto una caratteristica propria ed indipendente da quella americana, anche grazie al supporto di Humair. Nella sua band Sweet & Sour fanno parte giovani musicisti già molto apprezzati in Francia. Emile Parisien, sassofonista, e Vincent Peirani, fisarmonicista, hanno vinto il prestigioso premio “Django Reinhardt”.

Daniel Humair - Foto: Emilio Esbardo

Alexander von Schlippenbach - Foto: Emilio Esbardo

Altro concerto che ricorda la prima edizione del Jazzfest è stato “Celebrating Eric Dolphy” (Celebrando Eric Dolphy)  di Alexander von Schlippenbach & Aki Takase.

Alexander von Schlippenbach, presente sin dalle prime edizioni dei Berliner Jazztage (dal 1966) ed uno dei rappresentanti più importanti della scena jazz tedesca, ha voluto rendere omaggio a Eric Dolphy, un gigante di questo genere musicale, morto qualche giorno antecedente al primo Jazzfest nel 1964.

Giunto a Berlino ovest il 27 giugno, si era già sentito male durante un concerto nel Jazzclub nella Bundesallee. Secondo l’articolo del giornalista Philipp Lichterbeck, pubblicato dal quotidiano Tagesspiegel il 5.11.2004, Dolphy potrebbe essere deceduto nell’indifferenza dei medici, a causa del colore della sua pelle, in un ospedale berlinese:

Gli spettatori del concerto avevano notato un barcollante musicista, incapace di riprodurre un suono chiaro (…) Nel frattempo la sua situazione era peggiorata. Un medico si è rifiutato di visitarlo (…). Dolphy ha subito un collasso circolatorio. Come poi in seguito si è scoperto la causa è stata un livello elevato di glucosio. Dolphy non sapeva di essere affetto da diabete.[1]

Sia Alexander von Schlippenbach che Eric Dolphy hanno prodotto delle pietre miliari nella storia del jazz, rispettivamente con le opere “Globe Unity” (1966) e “Out to Lunch” (1964).

Aki Takase compartecipe della serata in onore di Eric Dolphy, deve la sua popolarità internazionale grazie proprio alla sua adesione al Jazzfest Berlin nel 1981.

Ad inaugurare la prima edizione del Jazzfest nel 1964 è stato Martin Luther King. Il suo discorso s’inserisce in un contesto storico durante il quale negli Stati Uniti e non solo, imperversavano le battaglie per i diritti civili e le uguaglianze. Non a caso nel suo discorso, Martin Luther mette in evidenza il legame che vi è tra il jazz e la sorte della popolazione di colore in USA, sin dai tempi della schiavitù. Attraverso la musica ed i canti, le persone hanno potuto sopravvivere a quei periodi terribili e alleviare le loro sofferenze. Nelle loro canzoni potevano incanalare i loro dolori e trovare le forze necessarie per reagire alla loro condizione di schiavitù. Tutt’oggi la chiese e le varie espressioni musicali, oltre al jazz, Blues, funk, hip-hop, soul e Ragtime sono i pilastri fondamentali della popolazione di colore degli Stati.

Elliott Sharp - Foto: Emilio Esbardo

Ciò viene messo ben in evidenza nell’articolo di Hans-Jürgen Schaal dal titolo “King è il jazz. Jazz è King. La musica afroamericana, la chiesa e l’emancipazione”:

Il 1964 è l’anno, durante il quale verrà firmato il Civil Rights Act, per la prima volta un attore afroamericano (Sidney Poitier) riceve un oscar e Martin Luther King viene premiato con l’oscar. È l’anno durante il quale John Coltrane pubblica “Crescent” e registra “A Love Supreme”; Eric Dolphy e Charles Mingus vanno per l’ultima volte insieme in tournee e Bill Dixon organizza il festival “October Revolution in Jazz” (Revoluzione jazz in ottobre).[2]

I diritti civili e la lotta per le uguaglianze, dopo tanti anni, sono tutt’oggi, un tema di attualità scottante. Nel 2014 alcune persone hanno perso la vita durante scontri con la polizia a causa del colore della loro pelle. Inoltre con l’aumento a livello esponenziale del divario tra ricchi e poveri nel mondo intero, le guerre, la questione dei rifugiati, il discorso di Martin Luther King e la prima edizione del Festival del jazz assumono un significato evidente a Berlino nel 2014.

“Per gli adolescenti degli Stati Uniti negli anni ’60, i pensieri e le azioni di Martin Luther King erano una presenza quotidiana. La lotta per i diritti civili era notizia da prima pagina insieme alle questioni della libertà di parola e al conflitto crescente in Vietnam”, racconta Elliott Sharp, “Durante questo stesso periodo, sintonizzavo la radio sulla trasmittente newyorkese WLIB, una stazione con sede ad Harlem, che riempiva le mie orecchie di entusiasmo e di gioia con le emanazioni musicali, che assocerò per sempre alle lotte sociali e politiche dell’epoca: soul, R’n’B, blues, funk, jazz e gospel”.[3]

Fire Orchestra - Foto: Emilio Esbardo

Per comprendere meglio il legame tra jazz e i disordini sociali dell’epoca basti ricordare la bomba fatta esplodere, tre settimane dopo il celebre discorso “Ho un sogno” di Martin Luther King, il 28 agosto 1963, nella chiesa battista ad Alabama, a causa della quale 4 scolare di colore hanno perso la vita. Due mesi dopo il jazzista John Coltrane ha inciso l’LP “Alabama” in memoria delle 4 ragazze, dando voce alla triste condizione della popolazione di colore negli Stati Uniti. La situazione era così tesa che quattro giorni dopo la registrazione del disco, c’è stato l’attentato a John F. Kennedy, che sosteneva i diritti degli afro-americani.

Elliott Sharp ha inaugurato il festival di jazz, giovedì 30 ottobre, con il concerto “Tribute: MLK Berlin ’64”, rendendo omaggio a Martin Luther King e al suo bel discorso. Elliott Sharp è un musicista che oltre al jazz si dedica anche ad altri generi musicali, quali Blues e Techno.

Prima dell’inaugurazione ufficiale, a inizio ottobre, si era esibito nell’ambito di Jazzfest Denys Baptiste un altro artista, che ha dedicato il suo lavoro a Martin Luther King. Il musicista non ha, però, solo composto un pezzo dedicato a Luther King, bensì lo ha attualizzato alla difficile situazione, che stiamo vivendo nei giorni nostri. Il razzismo, l’oppressione, l’ingiustizia sono temi attuali, non solo negli Stati Uniti, ma anche nel mondo intero. Una fase di crisi estrema la stiamo vivendo soprattutto, dal mio punto di vista, in Europa, dove movimenti di estrema destra stanno prendendo piede. In alcuni Paesi sono già una triste realtà.

Soweto Kinch - Foto: Emilio Esbardo

Johanna Borchert - Foto: Emilio Esbardo

“Nel 2003, ho avuto fortuna di aver ricevuto la richiesta della Commissione Jerwood per comporre il pezzo per il Festival Jazz Cheltenham. Quell’anno era segnato dal 40esimo anniversario dello storico discorso “Marcia per il lavoro” (o l’orazione “Ho un sogno”, come è rimasta nella memoria di molti) del leader dei diritti civili della popolazione di colore, Martin Luther King”, ha scritto Denys Baptiste, “Combinando la mia musica con la poesia di Ben Okri e il documentario di Yeats, ho realizzato Let Freedom Ring – un pezzo, che pone la domanda: Quanto abbiamo progredito noi esseri umani nella lotta contro l’oppressione, l’ingiustizia, e la discriminazione in tutte le sue forme?”[4].

Il titolo Let Freedom Ring (Lascia suonare la libertà) e l’intero lavoro, citando sempre Denys Baptiste, raccontano la storia della schiavitù e dell’oppressione e indicano il cammino del futuro:

(…) Con l’aiuto della mia meravigliosa band di 14 musicisti, mi propongo di far luce sulla prima parte del discorso, dove Martin Luther descrive l’ambiente; nella seconda il male della schiavitù, la proclamazione di emancipazione, l’importanza della protesta pacifica e dignitosa e infine la sua visione del futuro. È chiaro che non c’è tempo da perdere. “Adesso è il momento” (…)[5]

WRD BIG BAND - Foto: Emilio Esbardo

Riguardo l’oppressione e l’ingiustizia, il 50esimo anniversario dei Berliner Festspiele è coinciso con i 25 anni della Caduta del Muro. Tale evento è stato ricordato durante il festival. Uno dei concerti che mi è piaciuto di più è stato “Die Engel – vier Kurzopern” (“Gli angeli – 4 opere brevi”) di Jochen Berg e Ulrich Gumpert, due artisti della DDR, tenutosi sabato primo novembre presso l’Accademia delle Belle Arti.

“Die Engel” tematizza i processi di cambiamento in corso nella Repubblica Democratica Tedesca, che hanno portato al fallimento del regime socialista. Lo spettacolo era stato presentato per la prima volta il 27 febbraio 1988, più o meno un anno e otto mesi prima dalla caduta del Muro, presso il Deutsches Theater a Berlino est. Ulrich Gumpert, classe 1945, è pianista e compositore. Ha plasmato la scena jazzistica della DDR a partire dagli anni ’60 e nel 2005 ha ricevuto il Premio nazionale di jazz. Jochen Berg, classe 1948, deceduto il 2009 a Berlino, ha lavorato come scrittore ed autore presso il “Deutsches Theater”.

Sempre sabato primo novembre, presso la sede dei Berliner Festspiele, si è tenuto un altro concerto dedicato ai 25 anni della caduta del Muro. Ad esibirsi sono stati la WDR Big Band & Kurt Elling nel concerto intitolato “Freedom Songs” (Canzoni di libertà). Il motto del loro concerto è stato: i pensieri sono liberi. Attraverso i loro pezzi si sono confrontati con temi politici attuali.

Dopo l’inaugurazione del festival, giovedì 30 ottobre, ho seguito i concerti di Eva Klesse Quartett e Francesco Bearzatti – Tinissima 4tet.

Eva Klesse è una batterista che, prima di intraprendere professionalmente la carriera jazzistica, ha studiato medicina a Lipsia Si è detta onorata di potersi esibire, da artista ancora non completamente affermata, in un festival così rinomato. Francesco Bearzatti – Tinissima 4tet Monk’n’roll è un gruppo italiano che mescola il jazz con altri generi come Rock e Pop. Lo si intuisce dal titolo del loro concerto “Monk’n’Roll”: “Monk” sta per il grande musicista jazz Thelonious Monk e “Roll” per Rock’n’Roll. Francesco Bearzatti, Giovanni Falcone, Danilo Gallo e Zeno De Rossi hanno suonato testi popolarissimi come “Walking On The Moon” dei Police.

Ulrich Gumpert - Foto: Emilio Esbardo

Venerdì 31 ottobre al posto del tanto atteso concerto di Benny Golson, a causa della sua salute precaria, si è esibito Archie Shepp Quartet. A seguire Get the blessing e Soweto Kinch. Il sassofonista Archie Shepp, che avevo già seguito nell’edizione 2012 del Jazzfest, è una vera e propria leggenda vivente, che ha rivoluzionato il modo di concepire il jazz negli anni ’60. Get the blessing sono conosciuti nella scena jazz inglese per il non conformismo e per la fusione di jazz con altri generi come l’Hip-Hop. Soweto Kinch è uno di quegli artisti che si rifà alla tradizione per creare uno stile proprio. È stato paragonato a Ornette Coleman e a Eric Dolphy.

Sabato primo novembre, oltre ai già citati bellissimi concerti di Ulrich Gumpert e Daniel Humair, ci sono stati i concerti di Archie Shepp con il pianista olandese Jasper Van’t Hof nella chiesa Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche, di Johanna Borchert, dei Hedvig Mollestad Trio e di Silke Eberhard. La pianista Johanna Borchert, che si è esibita nel locale A-Trane, in un concerto intitolato “Desert Road” (Strada desolata), ha suonato pezzi misti di jazz e pop. Si è affermata come musicista a Berlino. Il Trio Hedvig Mollestad ha tenuto un concerto di Heavy-Rock e Elektro-Jazz. Silke Eberhard ha ripreso un brano incompiuto di Eric Dolphy “Love Suite”, che ha interpretato insieme al suo gruppo presso l’Accademia delle Belle Arti.

Domenica 2 novembre, il festival si è concluso con i concerti dei Brass Mask e dei Mostly Other People Do the Killing, famosi per le loro esibizioni dal vivo e la cui musica si rifà al “Hot Jazz” dei tardi anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Prima di loro vi sono stati, dal mio punto di vista, due tra i più bei concerti del festival di Jason Moran: dapprima “Jason Moran and the Bandwagon” e poi “Jason Moran: Fats Waller Dance Party”. Il pianista Jason Moran suona con virtuosismo pezzi classici di Thelonious Monk e Fats Waller. Il suo gruppo The Bandwagon è da 14 anni  una bella realtà newyorkese. Tradizione ed innovazione sono parte distintiva del loro repertorio. Il concerto “Fats Waller”, tenutosi per la prima volta in Europa, è un’interazione con il pubblico, invitato a ballare. Fats Waller era conosciuto per le sue provocazioni.

L’anno prossimo si terrà la nuova edizione di Jazzfest con il nuovo direttore artistico Richard Williams.

di Emilio Esbardo


[1] Philipp Lichterbeck, Sie erklärten ihn einfach für tot – das Mysteriöse Ende von Eric Dolphy (Lo hanno dato semplicemente per morto – la misteriosa fine di Eric Dolphy); articolo presente nell’opuscolo: 50 Jahre Jazzfest Berlin, Editore: Berliner Festspiele, Berlino, 2014, pag. 20-21

[2] Hans-Jürgen Schaal, King is Jazz, Jazz is King. Die Afroamerikanische Musik, die Kirche und die Emanzipation; articolo presente in: Ibidem, pag. 7

[3] Elliott Sharp, Tribute: MKL Berlin ’64 in 50 Jahre Jazzfest Berlin; articolo presente in: Ibidem, pag.13

[4] Denys Baptiste, Now is the time – Let freedom ring!; articolo presente in: Ibidem, pag. 10

[5] Ibidem, pag. 10

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