Intervista ad Arturo Robertazzi - Zagreb: il sentore del male

Tra gli scrittori italiani più conosciuti a Berlino c’è sicuramente Arturo Robertazzi. Nato a Napoli nel 1977, ha frequentato gli studi di chimica a Salerno, laureandosi nel 2002. Arturo ha viaggiato molto ed ha vissuto in differenti città all’estero. Nel 2001 è stato studente erasmus ad Alcalá de Henares in Spagna ed ha conseguito il dottorato in chimica in Gran Bretagna nel 2006. Infine ha deciso di trasferirsi Berlino, dove lavora come ricercatore nel gruppo del Prof. E.W.Knapp. Zagreb, pubblicato nel maggio del 2011, è il titolo del libro che ha ricevuto delle ottime critiche e che ha fatto conoscere Robertazzi, tra l’altro, nella numerosa comunità italiana presente a Berlino.

Zagreb è un romanzo di guerra, ambientato nella ex-Jugoslavia nel periodo che va dal 1991 al 1995. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Aìsara, una bella realtà italiana, la cui redazione è composta da un gruppo tutto al femminile, che offre ai lettori italiani scrittori noti ed esordienti e autori stranieri ancora sconosciuti o non ancora tradotti.

La mia intervista ad Arturo Robertazzi si è incentrata soprattutto sul suo primo romanzo e sulla sua vita nella capitale tedesca.

Arturo, quando e com’è nata la decisione di scrivere un libro sulla guerra?

Ho cominciato a scrivere Zagreb quando avevo meno di vent’anni, a fine anni ’90. E in quel periodo c’è stata la prima guerra nel golfo, la guerra in Croazia, poi in Bosnia, infine in Kosovo… e i disastri in Africa. Spesso mi chiedono perché ho scritto un romanzo di guerra. Io di solito rispondo con un’altra domanda: come potevo non scrivere di guerra?

Credi che gli italiani conoscano le guerre odierne? O hanno come punto di riferimento soltanto i libri classici sulla prima e seconda guerra mondiale?

Credo che ci sia profonda ignoranza. Quest’anno ricorre il ventennale dello scoppio delle guerre nella ex-Jugoslavia. Se n’è parlato pochissimo.

Viene affrontato abbondantemente questo tema in Italia? O viene snobbato quasi completamente dai mass-media? Quali scrittori del genere consiglieresti di leggere?

In Italia c’è un fatto: il sistema informativo è deviato, tutti i giornali e le televisioni, anche quelli che riteniamo essere i migliori, soffrono dell’ingombrante potere economico e politico dell’ex presidente del consiglio. Sono anni che in Italia non si parla d’altro se non dell’impero del Sultano, degli affari del Sultano, delle donne del Sultano, della “caduta” e della rinascita del Sultano. Sulle pagine dei nostri giornali e sugli schermi televisivi c’è poco spazio per altro. Compreso per le guerre nella ex-Jugoslavia. Ma ci si può informare, leggere, guardare. L’opera che più mi ha emozionato, scioccato, coinvolto è sicuramente “Safe Area Goražde” di Joe Sacco, un reportage giornalistico in forma di fumetto.

Perché secondo te bisognerebbe leggere libri sulla guerra?

Secondo me bisogna leggere (buoni) libri. Che siano di guerra o romanzi d’amore non importa.

Cosa porta, secondo te, l’uomo alla guerra? Io non capisco come un essere umano possa commettere delle atrocità, delle bestialità.

Non sono un esperto… Posso però consigliarti la lettura di “The Lucifer Effect” di Philip Zimbardo in cui l’autore ha risposto a parecchie mie domande. Molte altre questioni, però, rimangono con il punto interrogativo.

Pensi che sia utopico immaginarsi un mondo senza guerre?


No. Credo di no.


Quando hai deciso di trasferirti a Berlino e perché? Che lavoro fai in questa città? Ti dedichi solo alla letteratura? Perché Berlino e non un’altra città europea o americana?

Un paio d’anni fa avevo voglia di tornare all’estero. Avevo vissuto già in Spagna e in Gran Bretagna, dove ho studiato per il mio dottorato. Quando ho riguardato all’Europa, non so bene perché, vedevo solo Berlino. L’idea era, ed è, scrivere un romanzo ambientato in questa città. Intanto, lavoro come chimico computazionale alla Freie Universität.

Potresti raccontare qualcosa della tua vita e descrivere nei dettagli il tuo tipo di scrittura?

Se si è davvero interessati alla vita di un autore al suo primo romanzo, beh, è tutto sul mio blog www.arturorobertazzi.it. E poi che noia gli autori che descrivono il proprio stile di scrittura. Soprattutto se ai primi romanzi.

Che emozioni provi quando scrivi?

Quando comincio – passa molto tempo da quando penso a una storia e la scrivo – mi spaventa dover iniziare da zero. Scrivo molto velocemente la prima stesura, cosicché la storia abbia un principio e una fine. Questo mi tranquillizza. Poi arriva il lavoro di riscrittura. Zagreb, per esempio, l’ho riscritto decine di volte. Questo è stressante, appagante, irritante. Infine è tempo di rilettura. Leggo ad alta voce decine e decine (e decine) di volte. Questo è un piacere. Finché non mi stanco e non rimane altro da fare che consegnare il romanzo.

Se si legge un libro senza sapere chi lo ha scritto, si può affermare se l’autore è un uomo o una donna?

…O gay, o lesbica, o transessuale? Sì, si può sempre affermare che l’autore è una persona.

È stato per caso che sei divenuto scrittore o da sempre è stato il tuo desiderio predominante?

Non si diventa. Lo ero già.

Berlino influenza il tuo lavoro?

Berlino è dentro, sopra, sotto, al centro del mio lavoro di scrittura.


Suoni e odori di Berlino che permangono in te?

I suoni e gli odori della U-Bahn. Hai notato come la U8 abbia un odore diverso dalla U5?

C’è un locale, dove abitualmente vai a scrivere? O preferisci lavorare in casa?

Preferisco il divano di casa mia. Ma se potessi scrivere in pubblico, andrei a farlo al Room 77, in Gräferstraße. Il giovedì, quando c’è Tom…

Siamo giunti al termine dell’intervista vuoi aggiungere qualche altra cosa?

Sì… non avevi detto che poi mi offrivi una birra?

di Emilio Esbardo

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